Looking at Ta’ziyè
video-performance
20/10/2005, 19:00
21/10/2005, 19:00
22/10/2005, 19:00
23/10/2005, 18:00
un progetto di Abbas Kiarostami
produzione KunstenFESTIVALdesArts
durata 1h20'
prima nazionale
Nel giugno 2003, negli spazi all’aperto del Teatro India di Roma, il regista cinematografico iraniano Abbas Kiarostami metteva in scena in prima mondiale la sua prima regia teatrale, Ta’ziyè, dall’antica forma di teatro popolare iraniana, sacre rappresentazioni di eventi della storia dell’Islam e dei suoi martiri, derivata da processioni in cui i fedeli cantavano lamentazioni, flagellandosi nell’intenzione di condividere il martirio. È oggi spettacolo tradizionale, messo in scena da compagnie itineranti di attori non professionisti che si tramandano il ruolo di generazione in generazione e da secoli affidano la trasmissione all’oralità. I fatti narrati sono patrimonio comune e il coinvolgimento del pubblico, radicato in una profonda religiosità, rasenta lo psicodramma. Kiarostami attingeva alla forma teatrale originale, riletta secondo le potenzialità del cinema: a circondare gli attori in scena, schermi cinematografici riproducevano immagini della partecipazione popolare, girate durante le ultime rappresentazioni tenutesi in Iran.
Nei mesi di febbraio e aprile 2004, Kiarostami ha attraversato l’Iran filmando le folle immense che assistono ai Ta'ziyè tradizionali, e in maggio ha debuttato a Bruxelles una nuova installazione visiva, Looking at Ta'ziyè, i cui soli protagonisti sono gli spettatori iraniani, colti in immagini in bianco e nero nell’intensa emozione del rito, di fronte alla narrazione di un mito fortemente codificato, ed esposto allo sguardo del pubblico occidentale estraneo alla portata emotiva e spirituale dell’evento per la cultura iraniana. Con lucido distacco fra sacro e profano, Kiarostami riproduce un incontro virtuale fra culture agli antipodi: quest’opera, che solo all’apparenza sonda il contatto fra mondi distanti, propone con chiarezza folgorante l’interrogativo sul senso della prossimità nelle distanze accorciate dalla tecnologia e dall’economia, che per questo stesso motivo mantengono insondabili zone d’ombra.